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Dr. Jekyll e Mr. Drive

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Messaggio  apetimida Gio Ott 02, 2008 9:52 pm

Dr. Jekyll e Mr. Drive,
perché al volante diamo il peggio

Il Suv ci fa sentire più tranquilli. Stare chiusi in abitacolo ci spinge a urlare. E non è vero che la cosa vicina va sempre più veloce. Una ricerca internazionale analizza la psicologia dell'automobilista. E ci dà una patente. Di nevrotici
di ALBERTO FIORILLO, ELENA MARTELLI e RICCARDO STAGLIANÒ

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Le strade del mondo sono lastricate di paradossi e buone intenzioni che sbandano. Più corsie uguale meno traffico? Piuttosto è vero il contrario: stendete nuovo asfalto e anche auto con lo spinterogeno atrofizzato abbandoneranno il letargo del garage. Oppure prendete la segnaletica. Vi avvisano della curva pericolosa, del fondo sdrucciolevole: avreste tutto il tempo per rallentare. Macché. Se si sente troppo accudito il guidatore allenta l'attenzione e finisce per fare più incidenti. Per non dire che in città uno scontro su cinque avviene quando una delle due auto coinvolte parcheggia. Insondabile psicologia delle quattro ruote.

Evidentemente uno crede di essere arrivato a destinazione, quasi fermo, e crash. È solo un minimo assaggio della quantità di fatti e fattoidi, dati statistici, pareri di antropologi, psicologi sociali, ingegneri e assessori alla viabilità in cui ci si imbatte in Traffic: Why We Drive the Way We Do (and What It Says About Us), meritato successo dell'estate editoriale statunitense (uscirà in Italia da Rizzoli). Il suo autore, il giornalista Tom Vanderbilt, si è inabissato in tre anni di ricerche e ne è riemerso con un racconto totale dove lo studio del caotico fluire delle vetture diventa una metafora più vasta dell'assurdità che domina le cose umane. "Guidare è la cosa più pericolosa che la maggior parte di noi farà mai" sentenzia. A pensarci bene ci sono tante di quelle variabili che entrano in gioco una volta ingranata la prima che arrivare dal punto A al punto B, evitando la collisione con migliaia di altri veicoli, è un miracolo quotidiano. Il trucco è non pensarci, per non finire paralizzati. Ecco, Vanderbilt, prendendo contromano i consolidati sensi unici che il discorso pubblico sul traffico aveva sin qui accettato, ci obbliga a spalancare gli occhi. Perché il problema del traffico sono gli uomini, non le macchine...

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